Roma, 26 giugno 2003 - Centro Congressi "Raffaele Bastianelli" - I.F.O. Istituto Regina Elena di Dott. Elisabetta Iannelli - Vice Presidente Aimac

L'approccio terapeutico al paziente oncologico è in continuo divenire in Italia e all'estero.
Sempre più spesso si sente parlare e si legge dell'importanza del rapporto di collaborazione e di fiducia che deve instaurarsi tra paziente e medico al fine di ottimizzare gli effetti delle terapie, di consentire la miglior qualità della vita possibile in ogni istante fino all'ultimo e, addirittura, di migliorare la prognosi. L'alleanza medico-paziente è il migliore se non l'unico modo di affrontare il nemico e di sconfiggerlo, quando è possibile, anche definitivamente. Grazie alla ricerca scientifica le cure sono sempre più efficaci e meno invalidanti. Il passo successivo che ci si aspetta dalla comunità scientifica che lavora per il paziente oncologico e con esso, è quello di umanizzare le cure ovvero di investire nel rapporto di diretta collaborazione con l'interessato, nella lotta contro il cancro.

Sarebbe bene non perdere di vista, neppure per un solo istante, che il malato è prima di ogni cosa persona, essere umano, soggetto e non certo, solamente, patologia oncologica di questo o quell'organo. Il paziente è persona che deve essere curata dal male nel fisico e nella psiche, poiché è innegabile, come dato esperienziale e scientifico, che la depressione diminuisce le difese permettendo al nemico cancro di agire o rendendo meno sopportabili gli handicap connessi al male o alle terapie.

Un atteggiamento combattivo, che trova conforto e sostegno in un sereno rapporto di  stima e fiducia con tutti gli operatori sanitari coinvolti (medici, psicologi, infermieri), è un'arma preziosa per sconfiggere il male.

La persona affetta da neoplasia è portatrice di diritti umani universalmente riconosciuti che devono essere rispettati. Il personale sanitario non deve considerare questa prospettiva giuridica come un potenziale rischio di accusa per responsabilità professionale  di cui essere chiamato a rispondere, ma come consapevolezza che il malato è un soggetto titolare di interessi giuridici riconosciuti e tutelati dalla legge, il quale è al tempo stesso protagonista e coautore dell'azione terapeutica. Il rapporto medico paziente deve essere bilaterale, pur nella diversità dei ruoli e non univoco come spesso è accaduto, senza con ciò voler sostituire il malato allo scienziato.

Il team vincente per combattere il cancro non si esaurisce nel rapporto appena descritto tra due soggetti ma è completo solo con la collaborazione e la coordinazione tra le diverse professionalità sanitarie che ruotano attorno alla persona malata. La cura della persona nella sua interezza deve avvenire nel rispetto consapevole delle opzioni terapeutiche decise dai diversi specialisti i quali  non possono e non devono ritenersi soddisfatti nell'aver delegato altri problemi ad un proprio collega. La strategia terapeutica deve risultare dalla concertazione delle diverse professionalità in accordo con il diretto interessato che contribuisce comunicando le proprie esigenze ed i propri malesseri.

I malati chiedono di potersi affidare agli operatori sanitari che lavorano in campo oncologico (l'oncologo medico, il chirurgo, il radiologo, lo psicologo, gli infermieri), ma chiedono anche che non vengano trascurati gli aspetti che solo apparentemente appaiono secondari e non strettamente connessi con la patologia neoplastica come, ad esempio, i problemi della sfera sessuale fisica e psicologica (una menopausa precoce indotta da farmaci è un fenomeno che presenta numerose problematiche che possono essere risolte solo con l'ausilio di diversi specialisti).

Il benessere psicofisico della persona, il cui equilibrio è stato sconvolto dalla malattia e dalle terapie, dipende da fattori diversi nessuno dei quali può essere dimenticato. L'esperienza di alcuni paesi stranieri, dove nel team degli oncologi è presente anche la figura del dietologo, ci suggerisce di non sottovalutare, ad esempio, la cura della forma fisica del paziente poiché anche l'aspetto esteriore ha un significato ben preciso, costituisce un messaggio di vita o di morte e contribuisce, quindi, a migliorare l'umore o a provocare uno stato depressivo.

Tra gli effetti collaterali alle terapie non si può tener conto solamente della tanto temuta nausea, oramai altrettanto controllata da efficaci antiemetici. Non si può sottovalutare quell'espressione di disagio e malessere multidimensionale che riduce le energie, le capacità mentali e deprime il complessivo stato psicologico del malato oncologico definita fatigue. Il supporto psicologico riveste fondamentale importanza sia diretta, come intervento terapeutico,  che indiretta attraverso la collaborazione tra psicologi e oncologi nella comunicazione di questi ultimi con il paziente. La difficoltà di un ascolto partecipe e comunicativo dei medici e del personale infermieristico, percepita dai pazienti potrebbe essere superata con l'ausilio dei professionisti della psico-oncologia. Una corretta ed efficace comunicazione biunivoca medico-paziente porterebbe, da un lato, ad una migliore comprensione delle necessità, anche terapeutiche, del paziente e, dall'altro, diminuirebbe il senso di angoscia, di ansia, talvolta di panico del malato determinati dalla paura di ciò che non si conosce.

E' importante che gli operatori sanitari prendano coscienza fino in fondo che curare non significa solamente guarire la patologia oncologica, ma anche prendersi cura della persona che presenta detta patologia.

Oggi è richiesto di tentare di rimuovere ogni ostacolo che costituisca un handicap per il malato. Sono importanti, quindi, la riabilitazione fisica come il controllo del dolore, la rieducazione come il sostegno psicologico dal momento della diagnosi, lungo il corso delle terapie e anche successivamente, durante il follow up, se necessario, anche per evitare che il malato, considerato guarito, si senta abbandonato.

E' importante che vi sia il rispetto del paziente e delle sue esigenze anche nella scelta delle modalità di prestazione del servizio sanitario, poiché non è detto che una perfetta ed efficiente organizzazione sia il miglior servizio per il malato, il quale potrebbe preferire, invece, che venga privilegiato il rapporto di empatia instaurato con il medico di fiducia.

Per instaurare e mantenere nel tempo, anche nella fase di follow up, un buon rapporto di cooperazione con la persona malata è opportuno tenere presenti alcuni aspetti relativi al contenuto ed alle modalità di relazione della comunicazione.

ASPETTI DI CONTENUTO

• Consenso informato

• Chiarezza dell'informazione sulla patologia, le cure farmacologiche, gli effetti collaterali
I pazienti spesso non sono in grado di comprendere i termini specialistici utilizzati dai medici e lamentano una vera e propria carenza di disponibilità a dare spiegazioni riguardo alle cure, che chiariscano come queste funzionano, quali sono le conseguenze, quali effetti secondari è possibile riscontrare. Anche la scarsa attenzione e l'eccessiva sintesi nel rispondere alle domande relative a tutti gli aspetti della patologia è avvertito come un problema. Questo difetto di comunicazione comporta l'impossibilità di un consenso che possa dirsi consapevole poiché un'informazione incomprensibile equivale ad una mancanza di informazione.
I malati considerano un bene prezioso la possibilità di comunicare con il proprio medico con serenità e fiducia e ritengono che ciò sia importante quanto la somministrazione di cure adeguate.

Protocollo standardizzato vs. Personalizzazione delle cure
La standardizzazione dei protocolli di cura, pur rappresentando una garanzia di qualità, al tempo stesso è percepita dalla persona malata come inadeguata nella applicazione alla propria situazione clinica poiché si ritiene che l'attenzione dei medici nella scelta dei mezzi terapeutici non avvenga con sufficiente attenzione al caso specifico che, ad esempio può presentare effetti collaterali o disturbi del tutto peculiari ed individuali.

• Continuità nel rapporto terapeutico
Esigenza forte e diffusa tra i malati neoplastici risulta essere quella di essere seguiti dallo stesso medico lungo tutto il cammino di cura.
L'interruzione del rapporto con l'oncologo medico e con gli altri operatori sanitari alla conclusione dell'iter terapeutico, causa un senso di disorientamento per il paziente che riprende la propria vita normale.

ASPETTI DI RELAZIONE

• Ascolto attivo
I pazienti percepiscono la difficoltà del medico ad ascoltarli in modo attento ed orientato, tenendo conto delle difficoltà, dei timori, dei dubbi relativi alla patologia al suo evolversi ed agli effetti collaterali permanenti e temporanei delle terapie. E' apprezzata con profonda gratitudine la disponibilità del medico di instaurare una comunicazione chiara, aperta, e attenta che tenga conto della persona nella sua interezza.

• Empatia e fiducia
Aspetto spesso carente nel rapporto medico paziente, è l'incapacità del medico di "mettersi nei panni dell'altro" non solo dal punto di vista della malattia, ma anche rispetto alla dimensione psicologica, anch'essa fortemente rilevante per un percorso di cura in una prospettiva globale della persona.

• Costruzione di alleanza terapeutica
La richiesta dei malati di costituire un'alleanza contro il cancro insieme ai medici, è, ancora oggi, spesso priva di riscontro. I pazienti denunciano la difficoltà nel contrattare le scelte terapeutiche con il medico in rispettosa ed armonica cooperazione, mentre è vero che la partecipazione consapevole alla scelta tra le diverse opzioni terapeutiche permetterebbe loro di vivere da protagonisti nel proprio percorso di cure e di non sentirsi come se oltre a subire la malattia si debba "subire" la terapia.

• Senso di abbandono vs. sostegno psicologico durante e dopo l'ospedalizzazione
Fortemente sentita come necessità vitale, troppo spesso dimenticata, è la carenza di attenzione per il benessere psicologico del malato sia durante l'iter terapeutico, sia successivamente, come sostegno e assistenza nel momento del ritorno alla normalità oppure nelle ultime fasi della propria esistenza terrena.

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