Scuola di Umanizzazione della Medicina - Torino, 11 aprile 2003 di Dott. Elisabetta Iannelli - Vice Presidente Aimac

Il cancro oltre ad essere una malattia sociale costituisce una sorta di emergenza sociale a causa delle implicazioni economiche, oltre che di quelle sanitarie. Si calcola in circa 270.000 il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno e, considerato che, sempre più spesso, la malattia ha un decorso non infausto, almeno per diversi anni, non è azzardato pensare che circa cinque milioni solo nel nostro paese siano le persone malate e quelle che hanno un familiare malato. La diagnosi di cancro, infatti, incide fortemente su tutti gli aspetti dell'esistenza non solo del malato, ma anche di tutte le persone che sono con esso in relazione.
Poiché il progresso della medicina consente di essere ottimisti nella maggior parte dei casi di tumore, a livello nazionale ed internazionale, si avverte la necessità di assicurare un'adeguata qualità della vita al malato oncologico. Il decorso della malattia ed i trattamenti terapeutici comportano in molti casi la necessità di prolungate assenze dal lavoro dell'adulto malato e dai corsi d'istruzione per il paziente pediatrico o giovane.
In tutti questi casi, può accadere ed accade che l'ex malato o il malato cronico stabilizzato, tornato poi in condizione di reinserirsi nel proprio contesto sociale produttivo o di studio, si trovi invece escluso, quanto al giovane a causa dell'interruzione della frequenza, quanto all'adulto, a causa dell'esaurimento del c.d. comporto, ossia dei giorni consentiti di assenza dal lavoro per malattia, con conseguente perdita del posto di lavoro. Oppure, spesso per ignoranza da parte dei superiori gerarchici o dei compagni di lavoro, accade che si subiscano gravi forme di umiliazione od emarginazione. L'esclusione del malato dalla vita sociale e lavorativa provoca una profonda sofferenza, un dolore morale al quale non è possibile rimediare con farmaci o terapie. Un dolore morale che interferisce pesantemente sulle funzioni fisiche e psichiche dell'individuo e che può pregiudicare o quantomeno peggiorare l'aspettativa di vita e la qualità di vita.
Le norme esistenti a tutela dei diritti dei malati sono sparse in diversi testi non coordinati tra loro, il che ne rende ancora più difficile la conoscenza perfino agli operatori professionali oltre che ai diretti interessati i quali in molti casi ne ignorano l'esistenza a causa di una grave carenza di informazione. Risulta evidente che la non conoscenza dei propri diritti ne impedisce la fruizione. Inoltre la caotica quanto stratificata disciplina normativa in tema di invalidità e di handicap, pur essendo applicabile ai malati cronici, non è stata pensata per le patologie, come quella oncologica, in cui si alternano fasi acute che necessitano di cure lunghe e spesso gravemente invalidanti e fasi di stabilità della malattia che consentono lo svolgimento di una vita pressoché normale.
In particolare lo Stato Italiano assiste i malati oncologici che si trovino in determinate condizioni economiche e di gravità della malattia per mezzo del riconoscimento dell'invalidità civile e della condizione di handicap. Il malato o un suo familiare deve richiedere la visita medico-legale presso l'ufficio invalidi della ASL, presentando una breve relazione del medico di base e dello specialista o del centro ospedaliero che ha in cura il malato. La pratica viene istruita in un tempo di diverse settimane, a volte anche di diversi mesi, a secondo della ASL, ma l'assegno spetta dal mese successivo alla presentazione della domanda. Pertanto le mensilità che vengono corrisposte in ritardo saranno rivalutate al momento del pagamento e pagate in un'unica soluzione, mentre gli assegni successivi vengono liquidati mensilmente. Le tabelle ministeriali di valutazione (DM Sanità 5/2/92) prevedono tre percentuali di invalidità per patologia oncologica: 11% con prognosi favorevole e modesta compromissione funzionale (con questa percentuale non si è ammessi ad alcun beneficio); 70% con prognosi favorevole ma grave compromissione funzionale; 100% e quindi esclusione dal collocamento per prognosi infausta o probabilmente sfavorevole nonostante asportazione chirurgica.
Durante la chemioterapia, spesso viene riconosciuto il 100% di invalidità che dà diritto all'assegno di inabilità, pari a  218,65 euro mensili, se il reddito personale non supera i 12.796,09 euro.
Con il 74% di invalidità, invece, i cittadini con reddito personale annuo inferiore a 3.755,83 euro hanno diritto all'assegno di invalidità pari a  218,65 euro.
L'accertamento dell'invalidità civile, per il malato che non ha ancora un lavoro, è utile ai fini di una futura assunzione poiché la legge n. 68 del 1999 sul collocamento dei disabili obbliga le imprese all'inserimento di una certa percentuale di lavoratori cui sia accertata un'invalidità superiore al 46% e che siano iscritti nelle liste del collocamento obbligatorio. Il riconoscimento di un'invalidità superiore al 67%, invece, comporta il diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili per i vincitori di concorsi presso Enti pubblici.
Riguardo al diritto al sostegno sociale ed alla tutela sul lavoro, le leggi n. 104 del 19921 e n.53 del 20002 ed i D.Lgs. n.509 del 19883 e n.151 del 20014, riconoscono la possibilità al malato, riconosciuto invalido o con un "handicap in situazione di gravità", di assentarsi dal lavoro per curarsi e consentono ai suoi familiari di assisterlo usufruendo di permessi dal lavoro.
Pertanto nella medesima domanda che si presenta alla ASL per l'accertamento dell'invalidità, è consigliabile richiedere l'accertamento anche ai sensi della legge 104/92 (handicap grave). In tal modo il malato lavoratore ha diritto a tre giorni al mese o a due ore al giorno di permesso retribuito ed un suo familiare (anche non convivente) può assisterlo usufruendo di tre giorni al mese di permesso retribuito dal lavoro, ed avvantaggiarsi nella scelta della sede di lavoro. I permessi sono fruibili a semplice richiesta senza necessità di ulteriore documentazione.
Inoltre, agli invalidi con percentuale di invalidità superiore al 50%, spettano 30 giorni all'anno di congedo (anche frazionabile) per cure mediche (art.26 legge 118 del 1971 e art.10 legge 509 del 1988). Detti permessi si sommano ai giorni di malattia previsti dal CCNL applicato al lavoratore malato.
la Legge 23 dicembre 2000, n. 388, all'articolo 80 comma 3, prevede l'opportunità per i lavoratori invalidi per qualsiasi causa (ai quali sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74% o assimilabile), di richiedere per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa. Il beneficio è riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva. L'entrata in vigore di questa agevolazione è stata fissata al 1 gennaio 2002.
L'INPDAP, l'Istituto che assicura buona parte dei dipendenti pubblici, con la circolare informativa numero 75 del 27 dicembre 2001, conferma che vengono concessi due mesi di contributi figurativi per ogni anno effettivamente lavorato, fino ad un massimo di 5 anni di contributi figurativi. Se un dipendente ha lavorato per 30 anni, si vedrà riconoscere 60 mesi (5 anni) di contributi figurativi. L'aspetto positivo, e inatteso, è che l'INPDAP ammette che questi contributi figurativi incidono anche sull'ammontare della pensione e non solo per il raggiungimento del diritto alla quiescenza.
Per alcuni malati, in condizioni gravemente invalidanti, è possibile ottenere (sempre seguendo la procedura della richiesta di visita medico legale alla ASL di appartenenza) l'assegno di accompagno. I requisiti richiesti dalla legge per l'attribuzione dell'assegno di
accompagno sono: l'impossibilità di deambulare o l'impossibilità a svolgere
gli atti della vita quotidiana.
Un'agevolazione molto utile che può ottenere il malato in terapia, è il contrassegno per circolare con un'autovettura nelle aree normalmente non transitabili e per utilizzare i parcheggi riservati ai disabili o, in mancanza, non pagare nelle aree di sosta a pagamento che ormai esistono in molte città.
I malati di cancro hanno diritto all'esenzione dal pagamento per i farmaci e per tutte le prestazioni sanitarie appropriate per il monitoraggio delle patologie cui sono affetti e dalle loro complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti. Per ottenere che dette prestazioni sanitarie siano poste a carico del SSN il malato deve farne richiesta presso la ASL di appartenenza allegando la documentazione medica, specialistica ed ospedaliera, comprovante la malattia. La ASL conseguentemente, rilascerà un tesserino personale con l'indicazione del cod.048 relativo alle esenzioni per patologia neoplastica. L'esenzione ovviamente è valida per i farmaci e per le prestazioni sanitarie effettuate presso strutture pubbliche e convenzionate.
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Tutta la complessa disciplina esaminata, però, riguarda l'invalidità in generale e non essendo stata concepita per il malato di cancro, risulta insufficiente ed inadeguata rispetto all'andamento altalenante della patologia oncologica perché in molti pazienti in trattamento medico o radioterapico si alternano fasi di disagio anche grave a periodi in cui la persona è, apparentemente, in perfetta salute.
Sarebbe auspicabile, quindi, una legge specifica che definisca e incorpori i diritti dei malati e che riguardi tutti gli aspetti di tali diritti e non tratti altre questioni, sull'esempio della disciplina normativa per le persone affette da tubercolosi (legge 14 dicembre 1970 n.1088)5 pensata esclusivamente per le persone affette da quella particolare patologia.
Attualmente alcune disposizioni poste specificatamente a tutela dei malati neoplastici sono contenute in alcuni CCNL nel settore del pubblico impiego6, ove è previsto che, in caso di patologie gravi che richiedano terapie salvavita come la chemioterapia, i giorni di ricovero ospedaliero o in day hospital ed i giorni di assenza dovuti alle cure vengano esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia e vengano retribuiti interamente. Detta previsione, che produce indirettamente l'effetto di prolungare il periodo di comporto evitando in taluni casi il licenziamento per eccessiva morbilità, al contempo garantisce al lavoratore il sostegno economico che, altrimenti, dopo un certo periodo di tempo di assenza per malattia, verrebbe corrisposto in misura ridotta. Nel comparto del lavoro privato non è dato riscontrare una tutela analoga. Solo la contrattazione del pubblico impiego si approssima all'obiettivo di una disciplina giuslavoristica e sociale moderna che tuteli i bisogni dei lavoratori tenendo in debito conto i progressi della medicina, tuttavia molti comparti del pubblico impiego restano ancora esclusi da questa tutela.
La differenza normativa tra categorie di prestatori di lavoro, comporta una gravissima ed ingiustificata discriminazione tra lavoratori affetti dalla stessa grave malattia. Il diverso trattamento loro riservato è moralmente inaccettabile e contrario ai principi costituzionali non solo di eguaglianza ma anche di salvaguardia della salute e del lavoro. La effettività di detti diritti costituzionalmente riconosciuti e garantiti, pertanto, dovrebbe essere estesa a tutti i dipendenti sia pubblici che privati assicurando un livello minimo di tutela applicabile a tutti i lavoratori tramite  l'adozione di una norma di rango legislativo.
Strumenti di tutela del lavoro sono necessari anche nella fase del reinserimento lavorativo. Troppo spesso, infatti, il malato di cancro dopo una lunga assenza viene considerato inefficiente, poco produttivo, a volte inutile e, conseguentemente, viene discriminato. In tali casi al lavoratore non vengono assegnati compiti che richiedano un particolare impegno o che comportino rilevanti responsabilità. E importante, invece, che la persona, superata la fase acuta della malattia, venga utilmente reinserita nel suo ambito lavorativo per il suo benessere ed anche nell'interesse generale di evitare che il lavoratore entri nel circuito dell'assistenzialismo quando, invece, potrebbe produrre reddito. Per le imprese, sarebbe auspicabile la formazione di un disability manager in grado di valorizzare le risorse umane altrimenti umiliate e di provvedere alla riqualificazione professionale del lavoratore malato o ex malato che riprende a lavorare. Per i lavoratori, andrebbero previste specifiche tutele che tengano conto della valutazione della capacità lavorativa residua in concreto, e contemperino le legittime aspettative dei datori di lavoro alla costanza del rapporto, con la caratteristica di una malattia magari ricorrente, ma che lascia vivere.
Quanto al diritto vigente è comunque necessario che le disposizioni già esistenti a tutela delle più diverse situazioni di disabilità e invalidità vengano coordinate tra loro ed integrate da previsioni normative specifiche. E' comunque necessario che i diretti interessati siano messi in condizione di usufruire degli strumenti assistenziali esistenti attraverso una adeguata informazione che può e deve essere data ai malati ed ai loro familiari anche dagli operatori sanitari e dai volontari che prestano la loro opera nei luoghi di cura.
Bisogna combattere con una diffusa scarsa attenzione agli aspetti psicologici e relazionali della condizione di malato, che sono invece determinanti per la qualità della vita, qualità che va  affermata con forza come un diritto garantito.

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