I tumori dell'ovaio sono molto sensibili ai chemioterapici, che nella maggior parte dei casi portano alla riduzione delle dimensioni del tumore e in un considerevole numero di casi all'eliminazione di un residuo tumorale microscopico dopo la chirurgia. La chemioterapia riveste, pertanto, un ruolo di grande rilevanza nella strategia terapeutica, ma sempre insieme alla chirurgia.

La chemioterapia consiste nell'impiego di particolari farmaci detti citotossici o antiblastici per distruggere le cellule tumorali. Tali farmaci hanno l'effetto di inibire la crescita e la divisione delle cellule tumorali. La chemioterapia si esegue sempre dopo l'intervento chirurgico se non è stato possibile asportare tutto il tumore o se il chirurgo ritiene alto il rischio che siano rimaste alcune lesioni tumorali piccolissime. In taluni casi la chemioterapia si effettua anche se apparentemente non vi è traccia di malattia allo scopo di consolidare il risultato dell'intervento chirurgico.

La chemioterapia si somministra iniettando i farmaci direttamente in vena nel corso di sedute di trattamento della durata normalmente di alcune ore e in taluni casi di qualche giorno; segue un periodo di riposo di alcune settimane per consentire all'organismo di riprendersi dagli eventuali effetti collaterali. La seduta di trattamento e il periodo di riposo costituiscono un ciclo di chemioterapia. Il numero di cicli di trattamento dipende dallo schema utilizzato, ma anche dal tipo di malattia e dalla sua risposta ai farmaci. Ad esempio, se lo schema è ogni 3 settimane, nella maggior parte dei casi sono sufficienti sei cicli di terapia; se lo schema è settimanale, circa 20, somministrati in un periodo di circa 4-5 mesi. In molti casi la chemioterapia può essere eseguita in regime ambulatoriale o in day hospital, ma talvolta è necessaria una breve degenza.

La chemioterapia non viene proposta alle pazienti con tumori borderline e maligni in stadio iniziale con caratteristiche biologiche favorevoli dopo stadiazione chirurgica adeguata.

Se il tumore si è diffuso al fegato o comunque al di là della regione addominale, l'intervento, di solito, non è indicato, almeno come primo passo terapeutico, e la chemioterapia è il trattamento di prima scelta con l'obiettivo di ridurre il diametro tumorale, alleviare i sintomi e migliorare la qualità della vita.

La chemioterapia si effettua anche nei casi di recidiva.    

Il farmaco più utilizzato per il trattamento del carcinoma dell'ovaio è il carboplatino, che è generalmente somministrato insieme al paclitaxel (Taxol®). Altri farmaci efficaci e utilizzati in caso di recidiva sono: topotecan (Hycamtin®), doxorubicina liposomiale (Caelyx®), cisplatino, docetaxel (Taxotere®), gemcitabina (Gemzar®), etoposide (VP-16®, Etopophos®, Vepesid®) e trabectidina (Yondelis®).

Come si somministra la chemioterapia?

I chemioterapici usati per il trattamento dei tumori cerebrali si somministrano più spesso per bocca. I più utilizzati sono temozolomide e procarbazina. Spesso questi farmaci, in particolare la temozolomide, si assumono durante la radioterapia con l'intento di potenziarne gli effetti. Altri chemioterapici (ad esempio nitrosouree, metotrexate, derivati del platino) devono essere somministrati per iniezione in vena. Ciò si può fare con una semplice flebo, inserendo un ago nel braccio, ma per evitare l'effetto fortemente irritante di alcune sostanze ai danni delle pareti vascolari che col tempo, potrebbe causare infiammazioni o la chiusura della vena, sono disponibili i seguenti dispositivi:

  • la linea centrale o catetere venoso centrale (CVC): cannula di plastica che s'inserisce in vena nel torace. Si applica in anestesia totale o locale. Una volta inserita, è fissata al torace per mezzo di punti o con un cerotto per evitare che fuoriesca dalla vena. Si può utilizzare per somministrare i farmaci ed anche per prelevare campioni di sangue. Viene rimossa agevolmente alla fine del trattamento, se necessario praticando una leggera anestesia locale;
  • il catetere venoso centrale periferico (CVCP): dispositivo simile alla linea centrale, ma a differenza di questa s'introduce a livello della piega del gomito anziché nel torace. Si applica in anestesia locale. Può essere utilizzato per la terapia e per i prelievi di sangue. Viene rimosso agevolmente alla fine del trattamento;
  • il catetere venoso con porta impiantabile (port-a-cath): alcuni cateteri terminano in una piccola ‘porta' introdotta sotto la cute del torace, che prende il nome di porta impiantabile. Si applica in anestesia locale o generale. Come la linea centrale e il CVCP, può essere utilizzata per somministrare i farmaci e prelevare campioni di sangue. È rimossa agevolmente alla conclusione del trattamento, se necessario in anestesia locale.

In taluni casi selezionati, è possibile iniettare il farmaco direttamente nella cavità addominale attraverso un piccolo catetere. Si parla in questo caso di chemioterapia intraperitoneale. Gli studi clinici hanno dimostrato che l'associazione tra la somministrazione intraperitoneale e quella per endovena tradizionale può sì contribuire a migliorare la sopravvivenza in un numero modesto di casi, ma può anche causare alcuni effetti collaterali spiacevoli, quali dolore, infezione e problemi digestivi. Per tali motivi è necessario condurre altri studi per verificare l'efficacia della chemioterapia intraperitoneale.

Effetti collaterali

Le reazioni alla chemioterapia variano da soggetto a soggetto, e se anche dovessero essere spiacevoli, di solito possono essere facilmente controllate con appositi farmaci. L'importante è non pretendere di fare tutto ciò che si svolgeva prima senza sforzo e prendersi il tempo necessario per far riposare il fisico. Si deve, tuttavia, tenere presente che le attuali modalità di somministrazione e i numerosi  trattamenti per prevenire gli effetti collaterali hanno reso la chemioterapia molto più tollerabile rispetto al passato.

Gli effetti collaterali dei farmaci più comunemente utilizzati nel trattamento dei tumori ovarici sono i seguenti:

ridotta resistenza alle infezioni: i chemioterapici distruggono le cellule tumorali, ma al tempo stesso riducono temporaneamente il numero di leucociti e globuli bianchi. Di conseguenza, aumenta il rischio di contrarre infezioni. Se la temperatura sale oltre i 38° C o compare un improvviso malessere nonostante la temperatura sia normale, rivolgetevi immediatamente al medico o recatevi in ospedale. Prima di ogni seduta di chemioterapia si controlla, tramite un'analisi del sangue il valore dei globuli bianchi: se sono ancora bassi, si somministrano farmaci che ne stimolano la crescita e, se necessario, si rimanda il trattamento;

tendenza a sviluppare lividi o piccole emorragie: La chemioterapia può provocare un abbassamento delle piastrine. Se compaiono lividi o piccole emorragie di cui ignorate la causa (sangue dal naso o dalle gengive, macchie cutanee) informate l'oncologo;

anemia: la chemioterapia causa una diminuzione dei livelli dei globuli rossi, che contengono l'emoglobina. Se scendono troppo, si parla di anemia. Questa può manifestarsi con stanchezza, mancanza di respiro o tachicardia. Questi sintomi possono essere risolti con una terapia che stimola la crescita dei globuli rossi o a base di ferro per bocca;

nausea e vomito: si possono prevenire o ridurre considerevolmente con la somministrazione di antiemetici;

irritazione della bocca e perdita dell'appetito: alcuni chemioterapici possono irritare la bocca e provocare la comparsa di piccole ulcere. Effettuare regolarmente degli sciacqui è importante e l'infermiera vi insegnerà a farli correttamente. Se non avete voglia di mangiare finché siete in trattamento, potrete sostituire i pasti con bevande ipercaloriche;

caduta dei capelli: è un effetto collaterale psicologicamente molto difficile da accettare causato da alcuni chemioterapici, ma non da tutti. Di solito i capelli cominciano a ricrescere nell'arco di tre-sei mesi dalla conclusione del trattamento. Nell'attesa si può fare uso di parrucche, foulard o cappelli.

La terapia biologica

L'attività di ricerca prosegue a ritmo intenso verso l'identificazione di molecole ‘selettive' nei confronti delle cellule tumorali, vale a dire che hanno come bersaglio esclusivamente le cellule tumorali, risparmiando quanto più possibile i tessuti sani. La terapia biologica è per questo detta anche target therapy (in inglese bersaglio si dice target). Attualmente questi farmaci sono utilizzati per lo più nell'ambito di protocolli sperimentali. Tra i farmaci attualmente in fase di sperimentazione rientrano gli antiangiogenetici che impediscono al tumore di sviluppare i vasi sanguigni che gli permetterebbero di crescere; in questo modo, il tumore viene "affamato" e smette di crescere. Appartiene a questa classe il bevacizumab, un anticorpo monoclonale che viene utilizzato con successo in molti schemi di trattamento che ha già ottenuto l'autorizzazione a livello europeo per il trattamento del  tumore ovarico avanzato. Vi sono poi i cosiddetti PARP-inibitori e gli antifolati, che interferiscono con la sintesi del DNA bloccando la replicazione cellulare.

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