di Adriana Bazzi
Diciamo sessanta-settanta. O di più? «Di più: almeno una novantina - assicura Giorgio Parmiani, direttore dell' Unità di Immunoterapia dei tumori al San Raffaele di Milano - Tanti sono i vaccini anti-cancro oggi allo studio, messi a punto da circa quaranta industrie biotech, soprattutto americane. E si prevede che nei prossimi anni il mercato diventerà molto consistente». Entro il 2015, dicono gli esperti, potrebbe raggiungere i 3 miliardi di dollari.

Riprende quota l' idea della vaccinazione contro i tumori, vaccinazione «terapeutica», si intende, il cui obiettivo è quello di tenere sotto controllo la malattia e di aumentare la sopravvivenza dei pazienti. Qualcosa di diverso dal vaccino anti-papilloma, il virus responsabile del cancro del collo dell' utero, di cui si parla molto in questi tempi. Che è, invece, un vaccino preventivo, previene, cioè, l' infezione del virus responsabile del tumore. «Il vaccino anti-Hpv - commenta Parmiani, che è anche presidente del Network italiano per la terapia biologica dei tumori - ha contribuito al rilancio delle sperimentazioni con altri vaccini. In passato ci hanno dato risultati piuttosto deludenti, ma ci anche hanno indicato nuove strade».

Molti vaccini sono ora arrivati alla fase 3, quella che permette di confrontare la loro efficacia, rispetto a quella di altre terapie, su un numero elevato di pazienti: saranno queste ricerche a dare risposte decisive. Al momento, le sperimentazioni riguardano il tumore al polmone, alla prostata e al pancreas (oltre a quello della mammella). «Contro il tumore al polmone - continua Parmiani - si stanno provando due proteine. Una di queste si chiama Mage: si tratta di un antigene del melanoma, comune anche al polmone, che si trova soltanto nelle cellule tumorali e non in quelle sane. Il limite di questo vaccino sta nel fatto che non tutti i tumori contengono questa proteina, ed è quindi necessario selezionare prima i pazienti. Parte di questa sperimentazione verrà condotta anche in Italia».

L' obiettivo della vaccinazione è quello di «armare» il sistema immunitario contro il tumore: in genere si punta a stimolare l' aggressività dei linfociti T (una classe di globuli bianchi) che normalmente agiscono da controllori della crescita tumorale. Una volta che questi linfociti imparano a riconoscere le proteine del tumore, le attaccano, distruggendo così il tumore. Parallelamente il vaccino stimola la produzione di anticorpi che, a loro volta, intercettano le stesse proteine sul tumore, agendo così in sinergia con i linfociti. Anche per il tumore della prostata ci sono buone notizie. Più di uno i vaccini in sperimentazione, anche di fase 3. Uno è il Provenge che è costruito con un antigene della prostata, la fosfatasi acida prostatica. Un altro è il GVax in sperimentazione sia nel tumore alla prostata che in quello al pancreas. Quest' ultimo preparato però non è costituito da proteine del tumore, ma da cellule tumorali di pazienti, coltivate in laboratorio e modificate geneticamente. La preparazione dei vaccini, dunque, segue strade diverse: oltre a quella che utilizza proteine o cellule del tumore, ce n' è una terza che sfrutta materiale genetico del tumore, Dna o Rna.

«Esistono oggi tecnologie - spiega Parmiani - che permettono di selezionare frammenti di Dna o di Rna specifici del tumore: queste sequenze servono per sintetizzare antigeni tumorali specifici che altre cellule non hanno. Le porzioni di Dna o Rna, una volta somministrate al malato, vengono integrate nelle sue cellule e producono così antigeni tumorali (che sono proteine) in grande quantità. E questi stimoleranno il sistema immunitario ad aggredire il tumore stesso». Hanno un po' deluso, nel tempo, i cosiddetti vaccini autologhi (i primi sono stati sperimentati nel melanoma), quelli, cioè, costruiti con le cellule tumorali del paziente stesso. «Ma è una via da riscoprire - dice Parmiani - . Si potrebbero usare non più le cellule del paziente, la cui quantità è spesso esigua e insufficiente a stimolare il sistema immunitario, ma le loro proteine. Si potrebbero così costruire i cosiddetti vaccini individuali». Alcuni di questi sono in sperimentazione nei linfomi di tipo B e in quelli non-Hodgkin: questi tumori hanno la caratteristica di avere lo stesso antigene su tutte le cellule, a differenza di quelli solidi, come il tumore al polmone, che hanno, invece, molti antigeni diversi fra loro. Nel caso dei linfomi si utilizza l' antigene estratto dal tumore del paziente e lo si combina con le cosiddette cellule dendritiche, un tipo particolare di globuli bianchi che servono per «presentare» l' antigene al sistema immunitario e per stimolarne la risposta. I primi esperimenti sono incoraggianti. Anche il vaccino contro il glioblastoma multiforme (DCVax), autorizzato in Svizzera, è costruito con lo stesso principio.

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