Un obiettivo raggiunto L'obiettivo per il quale si sono battuti i malati di cancro e le associazioni di volontariato è stato raggiunto: la Giornata nazionale del malato oncologico verrà celebrata la prima domenica di giugno, a partire da questo anno e negli anni a venire. Così ha stabilito la direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 19 gennaio 2006, recentemente pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Desidero ringraziare Il Giornale per aver ospitato nel novembre scorso un articolo in cui illustravo   la situazione dei circa due milioni di cittadini italiani che hanno provato o provano sulla loro pelle l'invasione delle cellule maligne e spiegavo l'importanza di una mobilitazione in cui far esprimere i disagi, le sofferenze e i bisogni, le speranze e le esigenze dei malati, dei guariti e dei sopravvissuti al cancro per far comprendere all'opinione pubblica e alle istituzioni i molteplici problemi che la persona malata, la sua famiglia, i suoi amici devono affrontare nell'immediato, nel breve e nel lungo periodo.  La scadenza che si sta preparando, con il contribuito di tutti i soggetti coinvolti nella lotta contro il cancro, metterà in collegamento malati, famiglie e amici con ricercatori, medici oncologici, infermieri, volontari e costituirà un laboratorio di proposte destinate a coinvolgere direttamente le istituzioni sociosanitarie pubbliche e private.
Ciò che mi preme sottolineare è che la direttiva per l'ufficializzazione della Giornata si inserisce in una pratica di governo, quello uscente di centrodestra, caratterizzata dall'attenzione nei confronti dei diritti del malati oncologici dopo anni e anni di trascuratezza rispetto alle loro specifiche problematiche. Sono oltre 400 le associazioni rappresentate nella Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (www.favo.it) e la loro forza trainante si è vista proprio nella battaglia che ha accompagnato la richiesta della Giornata, un momento di coesione che ha coinvolto anche le associazioni non federate. Il malato oncologico non è «di destra» o «di sinistra»,  ma è una persona e il suo mondo attraversa il mondo in cui tutti viviamo e in cui aspiriamo a vivere sempre meglio. Quello che i malati chiedono non è mera assistenza né mera rivendicazione di diritti specifici bensì il riconoscimento di non essere emarginati dalla società dei sani e di vedere riconosciuti i loro diritti di cittadinanza.
A un'idea del malato che non venga emarginato dal contesto economico e produttivo sfuggendo contemporaneamente a gravare sul bilancio assistenziale dello Stato,  è ispirato l'articolo della legge Biagi che evita il ricorso dei malati oncologici non in grado di lavorare all'«invalidità civile». È stato riconosciuto ai lavoratori dipendenti da aziende private la possibilità di ridurre l'orario di lavoro senza rinunciare all'impiego. Si tratta di una norma che tiene conto della «flessibilità» delle condizioni del malato oncologico, il quale specialmente nella fase acuta della malattia e delle terapie antineoplastiche, ha bisogno di ridurre il carico lavorativo ma non certo di uscire dai rapporti sociali di produzione. Una volta conclusa la somministrazione della terapia e iniziata la fase di controllo della morbosità, il paziente-lavoratore può riprendere nella maggior parte dei casi l'attività tempo pieno. Il lavoratore può scegliere questa possibilità, il datore di lavoro ha il dovere di accordagliela. Infine, con la nuova, recentissima, legge che modifica le procedure per stabilire l'accertamento dello stato di handicap e dell'invalidità superiore al 50%, i malati oncologici hanno vinto un'altra battaglia,  utile ai fini di ottenere un assegno di sostegno e permessi retribuiti per assentarsi dal lavoro estendibili anche al familiare che si prende cura di loro, da sempre previsti dalle leggi. Le nuove procedure accorciano a 15 giorni l'attesa per l'adempimento dei controlli legali utili a far valere le prerogative testé illustrate. Prima ci voleva un anno o anche di più. La lunghezza dei tempi ha rappresentato un diritto negato per tutti coloro gravati da un handicap o da una disabilità grave. Ma per   i malati di cancro la negazione assumeva un significato più beffardo perché basata sulla mancanza di conoscenza della loro condizione e dei loro bisogni.

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