L’Fda ha deciso che il farmaco non è indicato per il carcinoma mammario metastatico: troppi costi e pochi benefici

di Vera Martinella
MILANO – Alla fine l’annuncio ufficiale è arrivato nei giorni scorsi: la Food and Drug Administration (Fda, l’Agenzia del farmaco americana), ha revocato negli Stati Uniti l’indicazione di bevacizumab per il trattamento del carcinoma mammario metastatico. L’anticorpo monoclonale (nome commerciale Avastin, prodotto da Roche) era stato ammesso in via provvisoria nel febbraio 2008 nell’ambito del programma di approvazione accelerata della Fda, ma già nel luglio 2010 le autorità statunitensi avevano espresso i propri dubbi, confermati poi dall’attuale decisione definitiva: l’uso del medicinale non ha fornito prove sulla sua efficacia in termini di aumento della longevità per le malate, sulle quali gravano però pesanti effetti collaterali.

I PERCHE’ DELLA DECISIONE AMERICANA
- L’approvazione accelerata del 2008 era “temporanea” perché andava rivista in base ai dati relativi a due studi clinici allora in corso e che, secondo l’Fda, ora hanno mostrato solo un piccolo effetto sulla crescita del tumore, senza evidenze che le pazienti vivessero più a lungo o con una migliore qualità della vita rispetto alla sola chemioterapia standard. «E’ stata una decisione difficile - ha ammesso il commissario dell’Fda, Margaret Hamburg, che ha incoraggiato la casa farmaceutica a prendere in considerazione ulteriori studi per identificare eventuali sottogruppi selezionati di donne che potrebbero trarre beneficio dalla cura - ma ci è parso chiaro che le donne con cancro della mammella metastatico in cura con bevacizumab rischiano potenzialmente la vita senza prove di efficacia del farmaco che giustifichino questi pericoli». L’uso del medicinale, hanno precisato le autorità statunitensi, resta però ammesso per gli altri tipi di tumore: è, infatti, approvato negli Usa e in Europa per il trattamento di stadi avanzati di carcinoma del colon-retto, carcinoma non a piccole cellule del polmone e tumore del rene (in Usa e altri Paesi anche per il glioblastoma cerebrale). Secondo i parametri Usa, insomma, i vantaggi per le pazienti non superano i benefici solo in caso di carcinoma mammario in stadio avanzato.

LE RISPOSTE AI TIMORI DELLE PAZIENTI - Il riferimento agli effetti collaterali potenzialmente letali della cura (infarto, emorragie, insufficienza cardiaca) ha creato scompiglio fra le pazienti, anche italiane, che hanno preso il medicinale o che sono attualmente in terapia. Se il farmaco è “potenzialmente letale” perché è approvato per altri tipi di cancro? E’ sicuro? Cosa cambia fra Europa e America? Perché oltreoceano è giudicato inefficace e pericoloso e qui no? Che fare? In Italia, l’agenzia del farmaco (Aifa) ha approvato Avastin per il trattamento delle pazienti con carcinoma mammario metastatico Her2 negativo e secondo Paolo Pronzato, direttore dell’ Oncologia all’Istituto tumori di Genova, «non c’è alcun motivo per cui le malate smettano di prenderlo. Gli effetti collaterali sono noti (fa salire la pressione sanguigna, può causare ipertensione, tromboembolie e sofferenza renale) e chi è in cura viene attentamente seguito. Finora, è vero, non abbiamo notato un allungamento della sopravvivenza fra le pazienti, ma ci sono altri vantaggi: la possibilità di ottenere una parziale regressione del tumore e di posticiparne la progressione». In pratica, la terapia allunga il tempo in cui il paziente vive senza avere una crescita della neoplasia, senza accusarne i sintomi e dunque con una migliore qualità di vita. Gli oncologi italiani concordano poi sul fatto che sia fondamentale somministrare bevacizumab solo alle pazienti giuste: «Le cure a disposizione contro il tumore al seno metastatico sono molte – precisa Ponzato -, c’è la chemioterapia e c’è la terapia ormonale. Questo farmaco va riservato a determinate categorie di donne, come quelle che una malattia molto aggressiva, ed è importante che si proceda con nuovi studi per individuare chi può giovarne di più». Può stupire, infine, che l’agenzia regolatoria americana e quella europea abbiano posizioni differenti nei confronti di questo farmaco «ma – conclude l’oncologo – sono circa una ventina i medicinali oncologici su cui Fda ed Ema non concordano: se sui benefici sono in accordo, la differenza nasce nel valutare i costi, economici (per il rimborso) e intesi come effetti collaterali, giudicati diversamente (più o meno pesanti) in alcune occasioni».

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