Roma - Non è la prima volta che qualcuno annuncia in pubblico di avere un cancro. E Francesco Cognetti, oncologo dell'Istituto dei tumori Regina Elena di Roma, si augura che dopo la "miss over 50" tanti altri personaggi che hanno in qualche modo la possibilità di diventare visibili, rendano la loro malattia di dominio pubblico.
"Queste testimonianze sono molto importanti e non è necessario che provengano da personaggi popolari - dice lo specialista -. Anzi per certi versi può essere più significativa l'esperienza della gente comune. Sono per chi ascolta vere iniezioni di fiducia. Oggi di cancro si guarisce purchè la diagnosi sia precoce e il trattamento tempestivo. Ed è bene che a ricordarlo non siano soltanto i medici".
Dai tumori si guarisce?
"Nei Paesi occidentali il 50 per cento dei tumori maligni invasivi si può sconfiggere. Non ci stancheremo mai di ripetere che però la diagnosi precoce è indispensabile specialmente in alcune forme. Il cancro al seno è uno dei tumori solidi con la maggiore percentuale di guarigione: il 90 per cento quando il diametro è inferiore ad un centimetro. In particolari condizioni favorevoli la possibilità di successo della cura è del 100 per cento. Le fasi più a rischio, nella vita di una donna, sono quelle intorno alla menopausa e post menopausa. Ma sottoponendosi periodicamente ad una mammografia un eventuale tumore si individua in tempo utile per essere sconfitto".
Con quale atteggiamento i pazienti si avvicinano al medico? Notate ancora la rassegnazione che c'era una volta?
"Assolutamente no. Lo stato d'animo del malato, in genere, è cambiato. Proprio perchè si moltiplicano i messaggi di speranza, amplificati dai media, notiamo ottimismo, voglia di collaborare con il chirurgo o l'oncologo e spirito combattivo. Ora i pazienti pretendono giustamente di sapere tutto della malattia. Esigono la verità, sfuggendo magari alla catena protettiva della famiglia. Tra noi e loro si instaura un rapporto più diretto, leale e, perchè no, efficace".
Vuole dire che l'atteggiamento collaborativo del malato agisce come una medicina in più per vincere la malattia?
"Non è dimostrato. Di certo però avere come alleato il paziente significa applicare la terapia nelle condizioni ottimali"

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