Cos'è?

I principali fattori di rischio

La diagnosi

Come si cura

Il dopo


 

Cos'è?

I linfomi sono tumori maligni del sistema linfatico. Si suddividono due grandi categorie:

- linfomi di Hodgkin;
- linfomi non Hodgkin.

Circa il 30% dei linfomi sono di tipo Hodgkin, il restante settanta di tipo non Hodgkin.

Il sistema linfatico è costituito da una rete di canali sottili che, come i vasi sanguigni, si diramano verso tutte le parti dell'organismo. I vasi linfatici trasportano la linfa, un liquido acquoso e incolore, che contiene i linfociti, comunemente detti globuli bianchi, che sono le cellule ematiche che combattono le infezioni. Lungo la rete dei vasi linfatici si trovano gruppi di linfonodi, piccoli organi a forma di fagiolo. Nel linfoma di Hodgkin le cellule tumorali crescono dai linfonodi e tendono a invadere I distretti linfonodali più vicini, ma la malattia può svilupparsi in ogni parte del corpo. I più colpiti sono, nell’ordine, i linfonodi del collo, ascellari, mediastinici, inguinali e addominali sono localizzati nel cavo ascellare, nella pelvi, nel collo e nell'addome.

Poichè il tessuto linfatico è presente in molte parti dell’organismo, il linfoma di Hodgkin può infatti insorgere quasi ovunque. Il tumore può diffondersi praticamente a tutti gli organi o tessuti, inclusi il fegato, il midollo osseo (il tessuto spugnoso contenuto all’interno delle grandi ossa del corpo) e la milza.

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I principali fattori di rischio

Il linfoma di Hodgkin è più frequente nelle fasce di età intorno ai 20 anni, e oltre i 60 anni, anche se può essere diagnosticato a qualunque età. Benché le cause esatte della malattia siano tuttora sconosciute, sono stati comunque identificati alcuni fattori di rischio, tra i quali:

  • debolezza del sistema immunitario: ad esempio nei soggetti sottoposti a trapianto d’organo e per questo in terapia; nei malati di AIDS; in alcuni rari casi di malattie che abbassano le difese immunitarie;
  • infezione da virus di Epstein Barr (EBV), che potrebbe accrescere il rischio di sviluppare la malattia in futuro.

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La diagnosi

 

Il primo sintomo della malattia è di solito un gonfiore indolore di un linfonodo superficiale del collo, ascellare o inguinale. Possono essere presenti anche:

  • sudorazione eccessiva, soprattutto di notte, che obbliga a cambiare gli indumenti;
  • febbre di origine sconosciuta che insorge la sera e si risolve spontaneamente al mattino;
  • perdita di appetito, calo di peso anche senza una dieta specifica (10% in 6 mesi);
  • stanchezza eccessiva;
  • prurito persistente diffuso su tutto il corpo.

 

Solitamente l’iter diagnostico comincia dal medico di medicina generale, che, dopo la visita, può prescrivere degli accertamenti e, se lo ritiene opportuno, suggerirvi di consultare un ematologo per una più approfondita valutazione ed eventuale esecuzione di ulteriori indagini.

La certezza della diagnosi si ha con la biopsia, che consiste nel prelievo di un frammento di linfonodo, o dell’intera ghiandola, e nel successivo esame al microscopio. La procedura si esegue di solito ambulatorialmente in anestesia locale, ma la biopsia dei linfonodi profondi dell’addome o del torace richiede l’anestesia generale.

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Come si cura

Oggi le moderne terapie consentono in molti casi di ottenere la guarigione anche se la malattia si è diffusa ad altri organi, o quanto meno di mantenerla in remissione per molti anni.

I principali tipi di trattamento del linfoma di Hodgkin sono la chemioterapia e la radioterapia, che possono essere usate da sole o in combinazione in funzione dello stadio della malattia: negli stadi iniziali, la terapia più indicata prevede la combinazione di chemioterapia e radioterapia; negli stadi avanzati, la chemioterapia è più indicata,

Gli effetti collaterali dei farmaci chemioterapici più comunemente utilizzati nel trattamento del linfoma di Hodgkin sono i seguenti:

  • ridotta resistenza alle infezioni
  • anemia
  • tendenza a sviluppare lividi o piccole emorragie
  • nausea e vomito
  • stanchezza:
  • ulcere del cavo orale
  • caduta dei capelli
  • infertilità

Chemioterapia ad alte dosi con trapianto di cellule staminali

Alcuni pazienti devono essere trattati con una chemioterapia a dosi molto alte, talvolta insieme alla radioterapia, allo scopo di aumentare le probabilità di guarigione. Di solito la chemioterapia ad alte dosi si prende in considerazione quando la malattia non ha risposto in maniera soddisfacente alla chemioterapia standard oppure si è ripresentata dopo il trattamento.

Se l’oncologo ritiene consigliabile una chemioterapia ad alte dosi, il trapianto (o meglio la reinfusione) di cellule staminali da sangue periferico è necessario per permettere all’organismo di sopportare la terapia

Le cellule staminali emopoietiche sono le cellule dalle quali si formano tutte le altre cellule del sangue. Possono essere prelevate direttamente dal sangue o dal midollo osseo. Siccome le alte dosi di chemioterapici distruggeranno il midollo osseo, è necessario restituirvi le cellule staminali per ‘proteggervi’ dagli effetti del trattamento.

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Il dopo

Concluso il trattamento, il vostro oncologo vi sottoporrà a controlli periodici che comprenderanno visite mediche e alcuni esami strumentali (TC/RMN/PET). È questo ciò che i medici definiscono convenzionalmente follow-up. All’inizio i controlli avranno una frequenza più ravvicinata (tre-sei mesi), per poi dilatarsi nel tempo (una volta all’anno). Le visite di controllo rappresentano il momento giusto per condividere le vostre ansie o paure con l’oncologo e per porgli qualunque domanda. Tuttavia, se nei periodi di intervallo tra un controllo e l’altro aveste dei problemi o avvertiste nuovi sintomi, dovrete contattare il vostro oncologo al più presto possibile.

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Questa scheda sintetica è stata estratta da:

- Libretto della Collana del Girasole di Aimac “Il linfoma di Hodgkin”, ultima edizione febbraio 2012

- Profilo DST “Linfoma di Hodgkin”, tradotto dal PDQ del National Cancer Institute, ultima revisione gennaio 2013
Aimac è grata ad AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) Giovani e in particolare alla Dott. Micaela Bergamaschi (Unità Operativa di Clinica Ematologica, IRCCS AOU San Martino-IST, Genova) per la revisione critica del testo.

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