Il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule varia in funzione dello stadio della malattia e soprattutto in relazione al tipo istologico (adenocarcinoma oppure carcinoma a cellule squamose).

Stadi

La chirurgia

La chemioterapia

La radioterapia 

La terapia biologica o terapia con farmaci a bersaglio molecolare

Inibitori della crescita tumorale

Farmaci antiangiogenetici

Immunoterapia


 

Tumori di stadio I:
Chirurgia
Ha un ruolo essenziale: in alcuni casi, il tumore asportato completamente non si ripresenterà più. Non sono necessari ulteriori trattamenti.

Tumori di stadio II:
Chirurgia + chemioterapia
La somministrazione di un ciclo di chemioterapia dopo l’intervento serve per ridurre il rischio di recidiva, soprattutto se le cellule tumorali hanno già raggiunto i vasi sanguigni o linfatici più vicini al tumore.

Tumori di stadio III:
Chirurgia + chemioterapia

La chemioterapia dopo l’intervento chirurgico è raccomandata. In alcuni casi l’intervento è possibile dopo una chemioterapia pre-operatoria.

Sono in corso degli studi clinici per valutare se la radioterapia e la somministrazione di anticorpi monoclonali dopo l’intervento chirurgico possa ridurre ulteriormente il rischio di recidiva. Nelle forme localmente avanzate non operabili inizialmente si utilizza la chemioterapia seguita o associata alla radioterapia.

Tumori di stadio IV:
 la malattia si è diffusa al di fuori del torace, coinvolgendo altri organi (fegato o altro polmone o cervello o surreni o ossa); non può essere guarita, ma può essere tenuta sotto controllo, attenuandone i sintomi e garantendo una buona qualità di vita.

  • chemioterapia
  • chirurgia
  • radioterapia
  • anticorpo monoclonale antiangiogenetico (bevacizumab), inibitori della crescita tumorale (antiEGFR: erlotinib, gefitinib, afatinib; antiALK: crizotinib, ceritinib), immunoterapia (nivolumab, pembrolizumab)

La scelta del trattamento dipende da vari fattori (gli organi coinvolti, il trattamento già ricevuto, presenza di tumore con mutazione di EGFR o ALK): la chemioterapia è la più diffusa, mentre spesso si utilizzano gli anticorpi monoclonali e gli inibitori della crescita tumorale.

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La chirurgia

La chirurgia, quando possibile, è l’opzione terapeutica di scelta per il carcinoma polmonare non a piccole cellule resecabile non metastatico. L’intervento può essere preceduto o seguito dalla chemioterapia o dalla radioterapia. Quattro sono i principali tipi di intervento:

  • lobectomia: asportazione di un lobo polmonare. Si parla di bilobectomia se nel polmone destro, che ha tre lobi, si asportano il lobo superiore, o inferiore, e il lobo medio;
  • segmentectomia: asportazione di uno o più segmenti polmonari;
  • pneumonectomia: asportazione di tutto il polmone;
  • resezione a cuneo: asportazione di una piccola parte di polmone.

La resezione polmonare è completata dall’asportazione dei linfonodi dell’ilo polmonare e di quelli mediastinici al duplice scopo di rimuoverli in quanto possibile sede di malattia e di consentire un’adeguata stadiazione, fondamentale per decidere se effettuare ulteriori terapie e anche per stabilire la periodicità dei controlli. La scelta del tipo di intervento dipende delle caratteristiche del tumore (dimensioni, localizzazione, ecc.) e dalla funzionalità respiratoria del paziente.

La resezione polmonare può essere associata a resezione di altre strutture (coste, vertebre, pericardio, diaframma) oppure a interventi di plastica bronchiale e/o vascolare (arteria polmonare), oppure ancora a sostituzione di grossi vasi (quali, ad esempio aorta discendente o vena cava superiore). Possono essere eseguite anche limitate resezioni di atrio (prevalentemente l’atrio sinistro).

Negli ultimi anni si ricorre sempre più frequentemente a vie di accesso mininvasive e toracoscopiche. Le procedure toracoscopiche (VATS, chirurgia toracica video-assistita) sono meno traumatiche proprio perché utilizzano una via di accesso meno invasiva e consentono di eseguire la stessa sequenza di atti chirurgici che si eseguono in chirurgia a torace aperto.

Importanti per stabilire l’opportunità dell’intervento sono le prove di funzionalità respiratoria, che accertano la capacità di respirazione. Una preoccupazione comune tra i pazienti che devono essere sottoposti a pneumonectomia è l’eventualità di non riuscire più a respirare correttamente con un solo polmone. Non è vero in quanto se la riserva respiratoria è buona si può respirare normalmente anche con un polmone solo, ma se preesistevano problemi respiratori, questi potrebbero acuirsi dopo l’intervento. Ci vogliono diverse settimane per superare pienamente i postumi di un intervento chirurgico ai polmoni, anche se alcuni malati si riprendono più rapidamente di altri. Sarete incoraggiati ad alzarvi e a camminare quanto prima possibile, ma anche se sarete costretti a stare a letto, è fondamentale eseguire regolarmente esercizi con le gambe per favorire il ripristino della circolazione e prevenire la formazione di trombi, come anche esercizi di respirazione sotto la guida di un fisioterapista che verrà in reparto a intervalli prestabiliti.

Per reintegrare i liquidi corporei sarete sottoposti a infusione per endovena (somministrazione goccia a goccia) fino a che non sarete in grado di mangiare e bere. I tubi di drenaggio utilizzati per drenare la ferita sono rimossi di solito dopo due-sette giorni dall’intervento. È normale accusare dolore dopo l’intervento, e per questo vi saranno somministrati analgesici. Il leggero fastidio che si accusa a livello toracico può persistere per diverse settimane, ma anche questo può essere alleviato con la somministrazione di analgesici in pillole da prendere a casa dopo le dimissioni. Una volta tornati a casa (probabilmente dopo 7-10 giorni dall’intervento), è importante che continuiate a fare esercizi per recuperare le forze e la forma fisica. È bene che parliate con il medico curante o con il fisioterapista per stabilire quali sono gli esercizi più adatti al vostro caso: ad esempio, passeggiare ad andatura svelta o nuotare sono esercizi validi e possono essere eseguiti da molte persone operate per un carcinoma polmonare. Non abbiate fretta di rimettervi al volante dopo l’intervento. Di fatti potrebbero volerci 4-6 settimane prima che possiate farlo senza accusare fastidi.

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La chemioterapia

La chemioterapia consiste nell’impiego di particolari farmaci detti citotossici o antiblastici per distruggere le cellule tumorali.

Nel trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule la chemioterapia si usa talvolta dopo la chirurgia per ridurre il rischio di recidiva. Può anche essere utile per ridurre il diametro tumorale prima della chirurgia o per alleviare i sintomi nel caso in cui questa sia impossibile.

I chemioterapici maggiormente usati per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule sono cisplatino, carboplatino, gemcitabina (Gemzar®), vinorelbina (Navelbine®), paclitaxel (Taxol), docetaxel (Taxotere) e pemetrexed (Alimta®). I farmaci si somministrano spesso in combinazione, ad esempio carboplatino + paclitaxel, vinorelbina + cisplatino o carboplatino, gemcitabina + cisplatino o carboplatino, pemetrexed + cisplatino o carboplatino.

Tipi diversi di carcinoma polmonare non a piccole cellule possono essere trattati con combinazioni diverse di chemioterapici. Oggi è possibile ottimizzare la chemioterapia scegliendo i farmaci in base alle caratteristiche istologiche del tumore.

Gli effetti collaterali della chemioterapia possono essere lievi o molto fastidiosi, a seconda dell’intensità della dose erogata e della durata del trattamento. Ancorché fastidiosi, scompariranno alla conclusione del trattamento.

Per approfondire:

Maggiori informazioni sono disponibili su La chemioterapia

 

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La radioterapia

La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali, cercando al tempo stesso di danneggiare il meno possibile le cellule normali.

Normalmente le radiazioni sono erogate dall’esterno da un’apposita macchina (radioterapia a fasci esterni), talvolta possono essere erogate dall’interno (radioterapia endobronchiale o brachiterapia).

La radioterapia può essere attuata allo scopo di ‘curare’ il tumore e in questo caso può sostituire la chirurgia. In tal caso, l’oncologo può anche decidere di erogare le radiazioni in più sedute, o frazioni, al giorno. Si parla allora di radioterapia iperfrazionata. In questo modo il ciclo terapeutico è più breve del ciclo classico che prevede una sola seduta al giorno. In alcuni casi si può prendere in considerazione la radioterapia continua accelerata iperfrazionata,

che prevede la ripartizione della dose giornaliera di radiazioni in tre sedute successive da effettuarsi anche nel weekend. La radioterapia stereotassica è una tecnica che consente di concentrare la dose di radiazioni sul tumore risparmiando così quanto più possibile i tessuni sani circostanti. S’impiega al posto della chirurgia negli stadi iniziali in tumori tecnicamente resecabili, ma con pazienti inoperabili per altre malattie severe concomitanti. Si esegue generalmente in tre sedute di trattamento.

Per trarre il massimo beneficio dalla radioterapia, questa deve essere pianificata molto attentamente. In questa fase, un ruolo determinante è svolto dal centraggio. Se il tumore ostruisce una delle vie aeree e ha causato il collasso del polmone, si può prendere in considerazione la radioterapia endobronchiale o brachiterapia. Questa consiste nell’introdurre la sorgente radioattiva all’interno di un catetere applicato temporaneamente all’interno del polmone con l’ausilio di un broncoscopio. In questo modo le radiazioni sono erogate direttamente nel tumore, salvaguardando al massimo i tessuti sani circostanti. La sorgente radioattiva resta in sede per il tempo necessario per l’irradiazione, quindi è rimossa insieme al catetere. Il trattamento può essere ripetuto due o tre volte in funzione della dose di radiazioni necessaria.

Gli effetti collaterali della radioterapia possono essere lievi o molto fastidiosi, a seconda dell’intensità della dose erogata e della durata del trattamento. In casi molto rari la radioterapia per carcinoma polmonare può indurre effetti protratti nel tempo quali infiammazione o fibrosi del tessuto polmonare, con conseguente conmparsa di sintomi quali mancanza di respiro e tosse. Le ossa del torace possono assottigliarsi e, di conseguenza, sono più soggette al rischio di frattura.

Ancorché fastidiosi, gli effetti collaterali della radioterapia scompariranno alla conclusione del trattamento.

Per approfondire:

Maggiori informazioni sono disponibili su La radioterapia

 

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La terapia biologica o terapia con farmaci a bersaglio molecolare

La terapia biologica, o terapia con farmaci a bersaglio molecolare, si basa sulla somministrazione di sostanze che agiscono direttamente sul meccanismo d’azione delle cellule tumorali risparmiando in gran parte le cellule sane. Nel caso del carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso (adenocarcinoma, carcinoma indifferenziato a grandi cellule) la scelta della terapia biologica più idonea si basa su un prelievo bioptico (lo stesso sulla base del quale si stabilisce la diagnosi dell’istotipo tumorale) per la ricerca di eventuali alterazioni genetiche, in particolare presenza di mutazione di EGFR, di T790M e di riarrangiamento dei geni ALK e ROS-1. Queste sono presenti complessivamente in circa il 20% dei pazienti; nei non fumatori e negli ex-fumatori che hanno smesso di fumare da almeno 15 anni sono più frequenti (circa il 50% dei casi). Le difficoltà sorgono quando il prelievo non è di tessuto (esame istologico), ma riguarda solo cellule (esame citologico). Inoltre, per la ricerca della mutazione di EGFR e di T790M è possibile effettuare il test anche con un semplice prelievo di sangue. Tra i tanti tipi di terapie biologiche attualmente disponibili, per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato si usano in particolare gli inibitori della crescita tumorale e gli anticorpi monoclonali.

Inibitori della crescita tumorale

Sulla superficie di molti tipi di cellule tumorali sono presenti alcune strutture che prendono il nome di recettori per il fattore di crescita epidermico, convenzionalmente individuati anche dall’acronimo EGFR. I recettori attraggono il fattore di crescita epidermico, che così può attaccarsi a queste molecole. Questo legame determina una serie di reazioni chimiche all’interno della cellula, che la fanno crescere e dividere più rapidamente.

I farmaci noti con il nome di antagonisti dell’EGFR si attaccano a loro volta al recettore per il fattore di crescita epidermico, impedendone in tal modo l’attivazione. Di conseguenza, contribuiscono a rallentare la crescita delle cellule tumorali.

Gli inibitori della crescita tumorale più utilizzati per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule sono erlotinib (Tarceva®) e gefitinib (Iressa®) e afatinib (Giotrif®), tutti antagonisti dell’EGFR. Il loro meccanismo di azione è simile. Quando il fattore di crescita epidermico si attacca ai recettori presenti sulla superficie delle cellule tumorali, attiva un enzima (tirosinchinasi), che a sua volta avvia una serie di reazioni chimiche che stimolano la crescita e la divisione cellulari. Gefitinib, erlotinib e afatinib si agganciano ai recettori per il fattore di crescita epidermico e, di conseguenza, ne impediscono l’attivazione. In questo modo le cellule tumorali non hanno più la possibilità di crescere e dividersi proliferando.

Erlotinib si usa come primo trattamento al posto della chemioterapia sia nei casi in cui la malattia è in progressione dopo un trattamento chemioterapico sia nei casi in cui vi è un’alterazione (mutazione) genetica dell’EGFR. Si somministra in compresse; gli effetti collaterali sono in genere lievi e possono includere diarrea, eritema, nausea e stanchezza. Gefitinib e afatinib si utilizzano come primo trattamento al posto della chemioterapia nei casi in cui vi è un’alterazione (mutazione) genetica dell’EGFR. Si somministrano entrambi in compresse; gli effetti collaterali sono in genere lievi e possono includere diarrea, eritema, nausea, stanchezza. Gefitinib può indurre anche un aumento delle transaminasi.

Per decidere se potete essere sottoposti alla terapia con gli inibitori della crescita tumorale è necessario eseguire un apposito esame sulle cellule tumorali che ha lo scopo di confermare la presenza di una mutazione del recettore EGFR. Nei pazienti con mutazione di EGFR che sono stati trattati con gli anti-EGFR gefitinib, erlotinib o afatinib e che hanno una progressione della malattia si ricerca una nuova mutazione (T790M). Essa si riscontra nella metà dei pazienti in progressione e se presente rende possibile l’utilizzo del farmaco osimertinib (Tagrisso®) che ha dimostrato grande efficacia.

Inibitori di ALK

Circa il 4-5% dei carcinomi polmonari non a piccole cellule presenta una particolare alterazione genetica denominata traslocazione del gene ALK. Tale alterazione è presente generalmente (come la mutazione di EGFR) nei tumori di tipo adenocarcinoma dei pazienti non fumatori. Il farmaco biologico specifico per questi casi si chiama crizotinib (Xalkori®), che si utilizza come prima terapia al posto della chemioterapia. Si somministra in compresse; gli effetti collaterali sono in genere lievi e possono includere stanchezza, incremento delle transaminasi e fastidi visivi che regrediscono rapidamente e spontaneamente. Anche in questo caso per decidere se potete essere sottoposti al trattamento con crizotinib è necessario eseguire un apposito esame sulle cellule tumorali che ha lo scopo di confermare la presenza di un’alterazione del gene. Nei pazienti in cui il crizotinib non funziona o non è più efficace è possibile utilizzare un nuovo farmaco inibitore di ALK denominato ceritinib (Zykadia®), che può essere utilizzato senza effettuare nuove biopsie alla ricerca di nuove alterazioni genetiche del tumore. Ha come effetto collaterale principale la diarrea.

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Farmaci antiangiogenetici

Gli anticorpi monoclonali sono sostanze sintetiche, prodotte in laboratorio, in grado di distruggere alcuni tipi di cellule tumorali limitando al minimo il danno per le cellule sane. La loro funzione è quella di riconoscere i recettori presenti sulla superficie di alcune cellule tumorali o le sostanze (fattori di crescita) che andranno a collocarsi sui recettori. Quando l‘anticorpo monoclonale riconosce la presenza del recettore sulla superficie della cellula tumorale o il fattore di crescita, vi si aggancia (come una chiave che s’inserisce nella serratura: ogni chiave può infilarsi in una sola serratura).

L’anticorpo monoclonale antiangiogenetico utilizzato per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule è il bevacizumab (Avastin®),  che può agganciarsi al

fattore di crescita (VEGF) che stimola la formazione di nuovi vasi sanguigni tumorali (meccanismo con cui il tumore si nutre e si accresce), impedendogli così di legarsi con i recettori che stimolano la crescita delle cellule tumorali. In questo modo, le cellule non possono formare nuovi vasi sanguigni per alimentare il tumore, che di conseguenza si riduce di dia-metro o, quanto meno, smette di crescere. Il bevacizumab si somministra per infusione in vena (goccia a goccia). Gli effetti collaterali del bevacizumab includono reazione allergica, rischio di fenomeni trombotici ed emorragici. Altro farmaco antiangiogenetico è la piccola molecola nindetanib che si lega, bloccandolo, al recettore del VEGF presente sulle cellule tumorali e che si utilizza in seconda linea di trattamento.

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Immunoterapia

Per anni l’immunoterapia è stata utilizzata nel trattamento dei tumori, ma senza successo. Ciò era dovuto al fatto che con farmaci e vaccini si cercava di potenziare la risposta immunitaria del paziente contro il tumore, non sapendo, però, che il tumore stesso si difendeva bloccando con degli specifici recettori le cellule immunitarie dell’organismo. Le recenti ricerche hanno consentito di individuare il problema e di sviluppare nuovi farmaci, appartenenti alla classe degli anticorpi monoclonali, capaci di eliminare il blocco effettuato dal tumore legandosi a recettori presenti sulle cellule tumorali (anti PD-L1) o della cellula immunitaria (anti PD-1). Tali farmaci hanno maggiore efficacia quando sulle cellule tumorali è iperespresso il recettore PD-L1. Attualmente, nella pratica clinica si utilizzano gli anti PD-1 nivolumab e pembrolizumab. Il nivolumab si usa come terapia di seconda linea dopo il fallimento della chemioterapia nel carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato, indipendentemente dall’espressione di PDL1. Il pembrolizumab si usa sia in prima linea nei pazienti con tumore che esprime il recettore PD-L1 in almeno o più del 50% delle cellule, sia in seconda linea nei casi con tumore positivo al PD-L1 (maggiore o uguale all’1%). Sono in corso numerosi studi con i nuovi immunoterapici come trattamento di prima linea nella malattia avanzata, da soli o in associazione alla chemioterapia o ad altri immunoterapici; come terapia adiuvante negli stadi iniziali dopo un intervento chirurgico e una chemioterapia, se indicate.

Il trattamento è generalmente ben tollerato con alcuni effetti collaterali rari, ma da riconoscere precocemente e trattare come polmonite, diarrea, epatite e disfunzione di alcune ghiandole del nostro organismo (tiroide, ipofisi, surrene).

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